Adozioni internazionali. A beneficio dei giornalisti disinformati, ecco come le autorità della Repubblica Democratica del Congo e dell’Italia hanno seguito e verificato le procedure adottive delle coppie italiane

bimbi congoLe adozioni nella Repubblica Democratica del Congo tornano a essere argomento dibattuto sul web. In questi giorni, infatti, qualche blog è ritornato sulla vicenda delle adozioni internazionali nel Paese africano, protagoniste di un blocco iniziato il 25 settembre 2013 per decisione della locale Direzione Generale della Migrazione (Dgm) e conclusosi solo a fine 2015, quando un’apposita Commissione Interministeriale, incaricata di riesaminare tutti i casi pendenti, dopo aver terminato il proprio lavoro di verifica, ha dato il via libera per la concessione dei permessi di uscita dal Paese  da parte della Dgm per i minori adottati da famiglie straniere. Tra i casi pendenti, molti erano relativi a coppie italiane, i cui dossier risultarono tutti approvati dalla Commissione Interministeriale, composta dai rappresentanti di tutti i dicasteri congolesi coinvolti nelle procedure di adozione internazionale. Pertanto i bambini della Repubblica Democratica del Congo adottati da famiglie del nostro Paese potevano finalmente partire per l’Italia in piena regolarità e conformità alle leggi del loro Paese di origine.

Tuttavia, alcuni giornalisti, evidentemente male informati sulle procedure adottive in vigore nella Repubblica Democratica del Congo, continuano a descrivere il Paese africano come una terra da “far west”, dove a farla da padrone sono la confusione legislativa e l’assenza di qualsiasi controllo da parte delle autorità amministrative e giudiziarie.

A beneficio di chi pensa che la Repubblica Democratica del Congo sia una sorta di Stato senza leggi, descriviamo come avvengono i vari passaggi che portano all’adozione di un minore.

Ogni volta che viene trovato un bambino abbandonato, i Servizi sociali del Municipio di riferimento emettono innanzitutto l’attestazione di custodia provvisoria e collocano il minore presso una famiglia affidataria o un istituto. La conferma di tale provvedimento deve arrivare entro 5 giorni dal Tribunale per i Minorenni. Successivamente tocca agli stessi Servizi Sociali constatare lo stato di abbandono del minore, emettendo il relativo certificato. È a questo punto che le strutture di accoglienza segnalano il minore per l’adozione agli enti autorizzati a operare nel territorio congolese. Nello stesso momento, tali enti ricevono anche le informazioni sul minore e il relativo certificato di abbandono. Poi il Tribunale per i minorenni competente emette la sentenza di atto di nascita.

A sovraintendere all’intero procedimento di adozione internazionale è il Tribunale per i Minorenni, davanti al quale il Consiglio di Tutela deve dare il consenso all’adozione stessa. A seguito dell’udienza iniziale, è proprio il Tribunale a verificare che siano state rispettate tutte le condizioni per l’adozione del minore. Terminata la verifica, la medesima Corte emette la sentenza di adozione che passa in giudicato dopo 30 giorni. Solo dopo tale sentenza, l’ufficiale civile può emettere l’atto di adozione e aggiornare l’atto di nascita del minore.

Tutte le procedure devono essere verificate dalla Commissione Interministeriale, che ha sede a Kinshasa, composta dai rappresentanti dei dicasteri degli Interni, della Giustizia, degli Esteri e del Genere, della Famiglia e del Bambino. Il ministero degli Esteri, in particolare, deve anche certificare che il minore adottato possa ottenere il passaporto congolese.

La documentazione di ogni adozione viene quindi inviata alla Commissione Adozioni Internazionali che ne verifica scrupolosamente la  conformità alle regole della Convenzione de L’ Aja del 1993 (che espressamente vieta il traffico dei minori ), ed emette l’autorizzazione all’ingresso e alla residenza permanente in Italia del minore adottato.

Compiuti questi passaggi si richiede il visto per l’ingresso nel Paese di accoglienza, rilasciato dalla corrispondente ambasciata a Kinshasa. Infine la Dgm concede ai minori adottati i permessi di uscita dalla Repubblica Democratica del Congo.

Come è evidente, dunque, ogni fase della procedura prevede l’intervento e il controllo di enti pubblici che vigilano sulla regolarità di quanto compiuto da tutti i soggetti coinvolti. Azione, questa, tanto più efficace in quanto, nel succedersi delle varie fasi dell’iter, le autorità che intervengono sono molteplici e differenti, permettendo così un controllo incrociato.

Ebbene, per tutti i bambini congolesi adottati in Italia sono state seguite queste procedure, puntualmente verificate dalla Commissione Interministeriale.

Ora , il fatto stesso che tutti i minori congolesi adottati dalle coppie italiane abbiano lasciato il loro Paese di origine per raggiungere le loro famiglie adottive in Italia significa  che la Cai ha certificato per ogni bambino adottato  nel Paese africano la  conformità alle regole della Convenzione dell’Aja del 1993.

Affermare pertanto che vi sarebbero state delle irregolarità equivale a dire che le somme autorità – sia italiane che congolesi – le avrebbero taciute o avvallate. Ma questo appare decisamente singolare se si pensa al fatto che le procedure adottive nella Repubblica Democratica del Congo sono state oggetto di ulteriori ed eccezionali verifiche, tra il 22 novembre 2015 e i primi mesi del 2016, da parte di una speciale Commissione Interministeriale presso il Ministero degli Interni Congolese. Commissione per la cui costituzione l’Italia avrebbe avuto un ruolo determinante, come affermato dalla stessa vicepresidente della Cai Silvia Della Monica nel corso della sua audizione in commissione Giustizia della Camera dei Deputati lo scorso 12 ottobre.

Se qualcuno o perfino qualche  istituzione italiana, quindi, dovesse non credere a quanto certificato dalle autorità congolesi, delle due l’una: o le autorità straniere esistono e sono riconosciute valide oppure siano messe in discussione tutte le adozioni realizzate in questo Paese.