Adozioni, scoppia il caso della onlus Enzo B: le famiglie pagano, ma niente bimbi

etiopia2Decine di famiglie si sarebbero affidate alla onlus torinese Enzo B per adottare un bambino in Etiopia, avrebbero sborsato in anticipo somme fino a oltre 10mila euro e non avrebbero ricevuto in cambio alcun servizio, senza arrivare mai a concludere l’adozione. Ora la Procura di Torino ha aperto un’inchiesta. Se ne parla in questo articolo, pubblicato domenica 15 gennaio dal quotidiano “La Repubblica”, che riportiamo integralmente.

 

Il  caso Etiopia sarà la dannazione di Enzo B, l’ente per le adozioni internazionali nato a Torino nel 2004 che è accusato da decine di famiglie di aver messo in piedi una truffa colossale che va avanti almeno dal 2011. Anche la procura di Torino ha aperto un’inchiesta dopo l’esposto di una famiglia. Sono più di cento le coppie che desideravano adottare e che raccontano di aver affidato incarichi alla onlus torinese per offrire una casa a bimbi orfani dell’Etiopia. A tutti sono stati chiesti contributi in anticipo per cifre che vanno da 3750 euro, per giornate di formazione, fino a oltre diecimila euro. Senza, in cambio, ricevere alcun servizio. E soprattutto senza concludere mai l’adozione.

Le procedure sono rimaste per anni nei cassetti della sede di via Onorato Vigliani, nel “villaggio” di Enzo B, in alcuni casi non sono neppure mai state tradotte. Solo nel 2013 l’ente ha fatto sapere che il Paese africano aveva chiuso i rubinetti delle adozioni, e cionostante sembra abbia continuato ad assumere incarichi fino al 2014. Per chiunque vada a bussare alla porta della onlus fondata da Stefano Bernardi e Cristina Nespoli, la risposta è il silenzio.
“Family for Children” è il nome di un comitato spontaneo formato da coppie di tutta Italia nato per raccogliere le storie delle tante famiglie adottive che sono finite in questo tunnel senza via di uscita. Pochissimi di loro disponevano di sufficienti risorse economiche per rivolgersi a nuovi enti o per cercare in altri Paesi, ricominciando tutto daccapo dopo aver atteso inutilmente per anni. Tutti quanti hanno visto svanire, impotenti, la speranza di avere un figlio come lo avevano immaginato, possibilmente piccolo, vittime di una spietata ma necessaria procedura che assegna neonati a coppie giovani e bambini più grandi man mano che invecchiano i genitori. “Al puzzle delle nostre famiglie manca ancora un pezzo. In questo tempo abbiamo atteso con pazienza che il nostro percorso si compisse. Con gli anni abbiamo accettato ogni tipo di giustificazione e abbiamo prolungato le nostre attese a tempo indeterminato” scrivono, adesso, in una lettera aperta al presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni. Hanno bussato a vuoto alle porte della Cai, la Commissione per le adozioni internazionali, l‘istituzione che ha il dovere di vigilare sui 63 enti privati che operano nel settore. Hanno promosso interpellanze parlamentari che sono cadute nel vuoto. Denunciano un sistema che somiglia a una giungla dove le famiglie che desiderano avere un figlio adottivo sono costrette ad affidarsi senza paracadute a intermediari senza scrupoli svincolati da ogni controllo.
Il caso Etiopia è così eclatante che ha fatto emergere intorno a ”Family for children” anche casi del passato, storie di coppie che si sono trovate in difficoltà nel rapporto con EnzoB, ma che non hanno avuto il coraggio di denunciare. Perché il bambino lo hanno ottenuto. E, in definitiva, il sistema sembra suggerire che un figlio adottivo è un privilegio, e che per averlo devi sopportare in silenzio pesanti compromessi. Ancora oggi dopo un anno dal suo rientro in Italia non trattiene le lacrime questa mamma torinese che ha un figlio di otto anni (probabilmente), che arriva dalla Cina. Insieme a lui è stata per mesi «prigioniera» in casa, perché il bimbo era terrorizzato dall’esterno. “Abbiamo scoperto solo dopo molto tempo, quando siamo riusciti finalmente a comunicare con lui — racconta — che non sapeva dell’adozione, l’hanno mandato in Italia dicendogli che avrebbe fatto una vacanza. Che in Italia avrebbe guardato guardato la tv cinese. Ha avuto crisi violentissime perché non voleva stare con noi. Enzo B ci ha affidati in Cina a una persona che faceva la guida turistica, non un mediatore culturale o uno psicologo. E qui in Italia se ne è disinteressata. Quando chiamavo, disperata, mi rispondevano che il problema ero io, che non ero pronta a fare il genitore”. Solo per le pratiche questa famiglia ha pagato all’ente circa 20 mila euro.
Ma una di queste coppie, una famiglia di Torino che ha dato l’incarico per l’Etiopia nel 2011 e in cinque anni non ha avuto alcun servizio, e tantomeno il bambino, ha deciso di presentare un esposto in procura dopo che per anni ha chiesto inutilmente spiegazioni. Da Enzo B ha ricevuto solo rifiuti. Nessuno ha mai spiegato neppure come fossero stati impiegati gli 11 mila euro pagati per quell’incarico. È il pm Nicoletta Quaglino coordinatrice dell’indagine su questo singolo caso. Molte altre coppie dell’associazione sono pronte ad accodarsi se l’inchiesta, come sperano, dovesse decollare.