Le procedure per i minori istituzionalizzati vittime di abusi: il caso della Bulgaria e le precisazioni di Ai.Bi.

bambino-bulgaroNe “l’Espresso” dell’11 gennaio 2013 è stato pubblicato un articolo del giornalista Fabrizio Gatti nel quale si riferisce di alcuni fatti legati all’adozione di tre minori realizzata in Bulgaria presso un istituto per il tramite di Ai.Bi. Associazione Amici dei Bambini, ente autorizzato ai sensi della legge vigente.

Nell’articolo si fa riferimento ad alcuni “fatti” verificatisi nell’istituto bulgaro nel quale vivevano i minori adottati. Si riferisce, in particolare, di comportamenti sessuali fra minori e di violenze sessuali da parte di pedofili adulti. Di questi fatti, secondo l’articolo, Ai.Bi. sarebbe stata al corrente.

Questo messaggio è fuorviante e gravemente dannoso per Ai.Bi. in quanto infondato.

Non è vero, infatti, che Ai.Bi. era al corrente delle descritte situazioni di abusi e pedofilia in Bulgaria.

Innanzitutto occorre premettere che i casi di abuso negli istituti sono purtroppo tanti e questo è uno dei motivi per cui l’Associazione da anni, con l’enfasi che spesso viene criticata da molti, lancia un messaggio allarmistico sulla emergenza dell’abbandono minorile e sulla urgenza di intervenire.

Come si procede in questi casi?

Se il caso è noto all’inizio dell’iter adottivo, perché se ne dà atto nella scheda del minore preparata dalle autorità estere prima dell’abbinamento, allora si prepara la coppia e, sempre che accetti di adottarlo, la si aiuta a gestire questa accoglienza con il supporto di professionisti.

Se invece i problemi legati alla sessualità precoce e agli abusi vengono scoperti dopo – ed è questo il caso che ricorre con maggiore frequenza -, tramite segnalazione dei genitori di qualche comportamento anomalo, si interviene sentendo la coppia e, insieme, studiando quale strada percorrere e consigliando quali specialisti attivare.

Tutti i casi fino ad ora emersi, sono stati affrontati, accompagnati e risolti, in stretta collaborazione con le famiglie, inviando le necessarie e dovute informazioni alle autorità competenti una volta verificata l’esistenza dei problemi evidenziati.

Fermo restando che Ai.Bi. agisce sempre con l’obiettivo di tutelare gli interessi dei minori coinvolti, rispetto al caso della Bulgaria citato ne l’Espresso ecco come sono andati i fatti.

Com’è noto in Bulgaria, essendo un Paese che ha ratificato la Convenzione de L’Aja del 1993, la segnalazione dei minori e l’abbinamento vengono proposti direttamente dall’Autorità centrale del Paese di origine. Nelle schede sanitarie di quei tre minori non risultava nulla di anomalo né nulla si era manifestato nel corso dell’adozione che si è regolarmente conclusa. Fino a quattro mesi dopo il rientro della famiglia in Italia non è mai emerso nulla che lasciasse presagire i “fatti” riferiti nell’articolo.

Ciò premesso, circa tre mesi fa la famiglia in questione contattava il presidente di Ai.Bi. al suo cellulare personale e, nello stesso giorno della telefonata in cui il genitore adottivo aveva espresso delle preoccupazioni, la coppia veniva vista dalla psicologa di Ai.Bi., la stessa che l’aveva seguita per tutto l’iter, presso la sede locale dell’ente.

Alla fine della seduta, nella quale era emerso che i minori avevano riferito ai genitori di avere avuto tra loro dei comportamenti sessualizzati, alla coppia veniva consigliato di attivare un percorso presso alcuni specialisti neuropsichiatri infantili competenti in materia. Lo scopo era quello di verificare cosa fosse realmente accaduto nel passato dei bambini seguendo il consueto protocollo, ma la famiglia rifiutava la proposta dichiarando di volere procedere autonomamente.

Il consiglio di attivare un contatto con professionisti di conoscenza di Ai.Bi. veniva ribadito alla coppia anche pochi giorni dopo, nel corso di un successivo incontro a livello locale con un avvocato della rete di Ai.Bi., ma anche in quella occasione la coppia manifestava la propria volontà di procedere in autonomia.

In seguito l’Associazione, anche in vista del proprio obbligo di inviare le relazioni periodiche all’autorità bulgara, poiché la prima relazione post-adottiva era del tutto positiva ed estranea alle nuove circostanze che la famiglia a voce riferiva, ha in più occasioni chiesto, invano, di ricevere la documentazione clinica degli incontri specialistici cui i genitori hanno riferito di avere sottoposto i propri figli.

A tutt’oggi l’Ente non è stato messo in grado di disporre di alcuna relazione documentale di esperti su questi “fatti”, come è invece necessario in casi del genere. Le uniche informazioni specialistiche in possesso dell’Ente sono e continuano ad essere quelle redatte dal proprio psicologo che non riguardano – è bene ribadirlo – alcun abuso né elemento relativo a situazioni di pedofilia, ma solo il racconto riferito di comportamenti sessualizzati fra i minori.

Ai.Bi., che è stata in questi mesi in attesa di ricevere idonea documentazione per chiarire le origini di quei comportamenti, ha informato la CAI subito dopo avere appreso per la prima volta il 3 gennaio 2013, tramite le domande rivoltele dal giornalista de l’Espresso, della probabile “esistenza di una rete di pedofili”.

L’articolo pubblicato dalla rivista l’Espresso contiene inoltre delle imprecisioni rispetto alle dichiarazioni rilasciate da Griffini nel corso dell’intervista: non è mai stato dichiarato che era stata informata “subito” la Commissione Adozioni (anche perché non la si poteva informare di fatti non specifici e in alcun modo legati alla “pedofilia”!). E’ vero, invece, che Griffini ha dichiarato di avere attivato “subito” i propri canali di sostegno per la coppia rendendo possibile l’incontro con la psicologa lo stesso giorno in cui la coppia ha telefonato allarmata dal comportamento dei propri figli.

Resta l’amarezza e la non comprensione dell’atteggiamento della coppia, in quanto sarebbe stata sufficiente una consueta e normale collaborazione da parte della famiglia per poter attivare, tempestivamente, i canali ufficiali, anche in modo da scongiurare eventuali ripercussioni negative sui minori coinvolti.

Ai.Bi. ha chiesto a l’Espresso, anche nell’esercizio del proprio diritto di replica previsto dall’art.8 della legge sulla stampa, di pubblicare il corretto reso conto dei fatti, come sin qui esposto, non essendo accettabile che il nome dell’Ente venga accostato al binomio “adozioni-pedofilia” visto che della riferita “pedofilia” Ai.Bi. ha appreso solo da quanto scritto dal giornalista.