“Non sono d’accordo sulla proposta di Ai.Bi.: e spiego perché”

Gentile Dr. Griffini,

Sono una figlia adottiva adulta che ha visto il servizio realizzato da Striscia la Notizia, andato in onda il 31 maggio scorso, in cui si è parlato di adozione internazionale e del Manifesto “Oltre la crisi per una nuova legge sull’adozione internazionale” promosso dalla vostra associazione.

Che una trasmissione come Striscia la Notizia possa decidere di affrontare un argomento tanto delicato in pochi minuti, non mi sorprende. La televisione, per motivi di share, segue spesso una logica di “pancia”, che cavalca l’onda delle emozioni, favorendo l’informazione a senso unico, fatta di spot e frasi fatte, in assenza di contraddittorio e senza alcun approfondimento.

Del resto è molto più semplice (e anche più economico!) propinare un rapido slogan ad un pubblico inesperto ed in buona fede, piuttosto che favorire la riflessione personale, mettendo a confronto in modo chiaro e pacato le diverse tesi esistenti su un argomento.

Quello che mi stupisce profondamente è che una persona della Sua esperienza abbia prestato il fianco a questa modalità comunicativa.

Peraltro anche a voler utilizzare mezzi di comunicazione dall’impatto immediato (TV, blog, Facebook), si possono denunciare i limiti della nostra legge sull’adozione, certamente perfettibile come tutti i prodotti umani, senza scardinarne i pilastri portanti.

Mi spiego meglio, la mancanza di professionalità di alcuni membri delle equipe adozioni va assolutamente denunciata alle autorità competenti, ma da qui a dire che bisogna – e La cito – “ limitare per legge il numero di incontri dallo psicologo”, “eliminare il Tribunale per i Minorenni” ed, ancora, abolire gli approfondimenti diretti a valutare l’idoneità degli aspiranti genitori adottivi (“la famiglia, che sente di poter adottare un bambino, è una famiglia idonea perché l’idoneità ce l’ha qui nel cuore”) forse è un po’ troppo…non crede?

Un bambino adottivo non ha bisogno di genitori “perfetti”, ma di genitori che abbiano scelto di adottare nella consapevolezza che la genitorialità “del cuore” presuppone l’elaborazione di alcuni saldi convincimenti: il superamento del dolore legato alla mancata procreazione biologica, la serena e sincera valutazione del proprio reale desiderio di diventare genitori,  la convinzione che il figlio adottivo è un bimbo con un proprio passato, talvolta traumatico, che non si può ignorare o minimizzare nel timore di affrontarlo, il prospettarsi potenziali difficoltà di inserimento (ad es. linguistiche, alimentari o scolastiche) soprattutto se il bimbo è grandicello…E’ difficile che le coppie possano maturale convinzioni e risolvere dubbi di questa portata senza l’aiuto di personale tecnico specializzato, al di là delle buone intenzioni di partenza, certamente esistenti nella maggior parte delle persone che intraprendono questo cammino.

Quella che Lei definisce “inquisizione” è la manifestazione del tentativo intrapreso dal nostro ordinamento di offrire ad un bambino in stato di abbandono la migliore delle famiglie possibili; e, a meno di non voler trasformare la nostra legge sull’adozione in un prodotto ad uso e consumo dei propri clienti, conviene fare in modo che le norme di legge che disciplinano l’adozione siano sempre ispirate al bene del bambino in difficoltà.

Inoltre, se i Servizi Sociali hanno già dato una così scarsa prova di sé nel gestire gli operatori del settore, perché affidare loro l’idoneità delle coppie, esautorando l’unico organo che potrebbe offrire serie garanzie di professionalità, per capacità organizzativa ed esperienza maturata in decenni di lavoro specialistico, vale a dire il Tribunale per i minorenni.

Quanto alla possibilità di estendere l’adozione dei bambini “con bisogni speciali” ai “single” e ad adottanti “con età superiore ai limiti stabiliti dalla legge in vigore”, ritengo sia un’ennesima dichiarazione di principio vuota di significato concreto, dal momento che le legislazioni della maggior parte dei Paesi d’origine dei minori dichiarati adottabili pretendono, quale presupposto all’abbinamento internazionale, che gli aspiranti genitori adottivi siano giovani, eterosessuali ed uniti da vincolo matrimoniale, spesso religioso. Ma poi davvero ci sono così tanti “single” e coppie di una certa età che desiderano adottare bimbi “con bisogni speciali”?

Per onestà intellettuale bisognerebbe ancora precisare che i tempi “eterni” dell’adozione internazionale, giustamente lamentati dai genitori adottivi, sono spesso dovuti alla fragilità delle relazioni internazionali (ad es. l’improvvisa interruzione dei rapporti diplomatici tra un Paese straniero ed il nostro può determinare la sospensione delle pratiche adottive in corso di esecuzione per mesi..) e alle lungaggini burocratiche dei Paesi d’origine dei bambini, purtroppo insindacabili dal nostro Stato per motivi di sovranità nazionale.

C’è un altro aspetto ancora più grave, di cui non si sente mai parlare… I genitori adottivi denunciano ormai sempre più frequentemente la dilagante e mai sconfitta corruzione dei funzionari locali, che arrivano  a far scegliere i bambini su un book fotografico e ad imporre ai malcapitati aspiranti genitori, dopo qualche mese di soggiorno in terra straniera (e… il “cambio” di un paio di bambini!!!), l’elargizione di cospicue somme di denaro per poter uscire dal Paese con il loro bimbo.

Per non dire della documentazione consegnata ai genitori adottivi, contenente l’anamnesi e la storia personale del bimbo adottato, in taluni casi inutilmente dettagliata (sono allegati atti processuali, foto e indirizzi) in altri scandalosamente imprecisa e lacunosa (al limite del falso in atto pubblico).

Aggiungo infine una breve considerazione in merito all’idea di prevedere, come misura di prevenzione dell’aborto, il mantenimento e l’adozione del nascituro durante la gestazione, sia pure sotto il controllo dell’autorità giudiziaria. Temo che le buone intenzioni che muovono la proposta (il desiderio di evitare aborti ed infanticidi), finiscano col favorire comportamenti altrettanto gravi, quali il mercato dei nascituri con annesso sfruttamento di donne talmente povere e disperate da accettare qualunque tipo di compromesso.  Non dimentichiamo infatti che nei quartieri più poveri delle città-dormitorio del Terzo Mondo,  i più diseredati, per sfamare sé e la propria famiglia, si vedono costretti a vendere il loro corpo o parte di esso (sangue, organi, utero…) ed, in casi estremi, anche il proprio “scheletro” post mortem (una lettura illuminante a questo proposito è “La città della gioia” di Dominique Lapierre ).

Come figlia non riconosciuta alla nascita penso infine che la legalizzazione di una tale operazione, quand’anche non faccia sospettare una vera e propria compravendita, possa far sorgere nei figli adottivi più sensibili ed attenti concreti dubbi sul proprio originario stato di adottabilità (“Mi hai adottato solo perché la mia mamma era povera!” oppure “Se hai aiutato la mia mamma biologica durante la gestazione, perché non sostenerla anche dopo il parto, consentendomi di vivere accanto a lei?”).

Direi che la situazione presenta delle sfaccettature piuttosto complicate, che non possono certamente essere semplificate in un decalogo di regole, certamente utili per fare pubblicità alla propria associazione, ma non per risolvere i gravissimi problemi legati alla gestione dell’adozione internazionale nel suo complesso.

Resto a disposizione per un eventuale confronto su ogni singolo argomento e porgo cordiali saluti.

G. T.

Cara G.,

ringrazio per la sua lettera perché ci dà la possibilità di aprire il dibattito.

Non vogliamo che l’adozione internazionale diventi come l’affido, ossia un fallimento, in quanto si trova tutto in mano ad operatori pubblici i quali, purtroppo, sono molto lontani da ciò che è la cultura dell’accompagnamento. Una cultura secondo la quale, invece, gli operatori specializzati di enti autorizzati e le famiglie sono in grado di accompagnare la coppia adottiva in tutto l’arco dell’iter, nel “prima”, nel “durante” e nel “post” adozione.

I Tribunali per i Minorenni sono una presenza così anacronistica nel sistema di accoglienza che stanno diventando un incidente storico: e in effetti più nessuno dei maggiori Paesi europei – i quali hanno purtroppo di gran lunga superato l’Italia in fatto di diritti – ha mantenuto questo retaggio medievale (ad esempio l’Italia è l’unico Paese europeo che non ha ratificato la Convenzione dell’Aja del 1996 sulla protezione dell’infanzia).

Rispetto ai single, vedo che lei non ha molta esperienza nell’adozione internazionale e che la sua conoscenza è limitata a pochi Paesi.

L’adozione ai single è permessa da moltissimi Paesi esteri, specialmente da quelli che realizzano più adozioni.

Ma anche qui non si tratta di fare altro che estendere ciò che è già previsto dalla legge italiana (un single può adottare in Italia nazionalmente con i casi speciali) all’adozione internazionale.

Rispetto alla “funzionalità” di alcuni enti autorizzati, abbiamo ben presente ciò che succede all’estero, specie a quelle coppie che si sono affidate ad enti autorizzati che non hanno loro personale nel Paese estero. Ecco il senso della nostra proposta di ridurre gli enti a un numero di venti, ben organizzati e strutturati, dotati di sedi e personale fisso e stipendiato in ogni Paese dove svolgono adozioni internazionali.

Sull’adozione del nascituro è opportuno sentire l’esperienza di chi la svolge da trent’anni, vista e valutata dopo aver acquisito effettiva conoscenza.

Ma concludo con un ultimo punto: perché nessuno oltre ad Ai.Bi. si muove per tentare di cambiare le cose?

Marco Griffini, Presidente di Ai.Bi. Associazione Amici dei Bambini